La metropolitana: che posto asettico, banale, quasi un non-luogo, verrebbe da pensare, parte così integrante delle abitudini quotidiane, linea di collegamento tra un nodo e l’altro, dove a contare è solo la velocità dello spostamento tra una stazione e l’altra, non di certo la strada. Ma poi è arrivato il Covid-19 e tanti luoghi della consuetudine urbana, mezzi di trasporto pubblico inclusi, hanno assunto una luce inedita, tra l’ansia sociale del contagio e il desiderio sfrenato di tornare a prima, quando era tutto scontato.
È così che, tra la nostalgia e il bisogno di rinnovare punti di vista un po’ impolverati dalla routine, seguiamo Stefano Bartezzaghi nel suo viaggio-romanzo edito da Einaudi nel 2015, M. Una metronovela. Il semiologo ed enigmista guida i lettori in una brulicante scoperta della città di Milano attraverso i suoi sotterranei, quelli della metropolitana. Un girovagare che procede per ricordi, storie, aneddoti, riflessioni.
M. Una metronovela è infatti un libro particolare: un po’ romanzo, un po’ raccolta di pensieri estemporanei ispirati a percorsi, linee, zone della città. Come la mappa che intreccia le linee colorate della metro di Milano, così anche le storie del romanzo seguono una struttura reticolare, mai del tutto superficiale, riscoprendo nomenclature, indagando percorsi, quartieri e zone nella loro evoluzione. Tre le possibili vie di lettura: la metropolitana, con il suo funzionamento, le sue metafore e il suo senso; Milano, nelle sue chicche da riscoprire e nei suoi mutamenti; e infine la storia del narratore, che un po’ si nasconde dietro qualche accenno biografico, un po’ forse semplicemente racconta per il gusto del raccontare.
Sul senso della metro
Quando si interroga sul senso del viaggio in metro, Bartezzaghi si dà una sola risposta: il senso di marcia. La metro è un servizio veloce, una grande infrastruttura sotterranea che lascia intatta la superficie della città e offre un’utilità, è funzionale allo spostamento. «La metro è un ambiente, un universo circoscritto di significazione, una semiosfera. La metro è un campionamento speciale di quello che sta sopra» specifica non a caso l’autore. Il semplice fatto che esista un ingresso alla metro conferisce infatti a un luogo della città una salienza, fa risultare cioè quel luogo denso di significato. Insomma: si va lì perché c’è la fermata.
Le linee della metro sono spigolose, rettilinee, non prevedono cerchi e curve come le vie della città, eppure hanno una loro grammatica: ci sono i tornelli, le linee gialle, linee orizzontali e verticali fisiche e metaforiche. Basta poco per cambiare statuto, basta per esempio uscire dalle regole di questa grammatica. E così alla stazione di Milano Centrale si diventa viaggiatori salendo, andando verso i binari ferroviari, ma si torna passeggeri scendendo in metro. La metro, di fatto, è un po’ il contrario dei terrazzi, esterni e privati, perché resta una struttura tutta interna e non visibile da fuori, eppure pubblica. Tant’è che l’umanità che si osserva sui vagoni è la più variopinta: ecco perché il narratore decide di ideare una serie, una fiction a puntate.
Giocare con la metropolitana
C’è anche una metronovela infatti in questo libro, una vera e propria avventura che, neanche a dirlo, ha per sfondo la metropolitana e si svolge a piccoli filmati da trasmettere sugli schermi pubblicitari invadenti delle stazioni. Ogni giorno una puntata, visibile in vari momenti per tutti i pendolari che passano in metro. Le avventure della metronovela si intrecceranno di capitolo in capitolo, ciascuno dedicato a una fermata particolare, o a un paio, su una precisa linea.
Non è del resto la prima volta che la metropolitana entra in un romanzo in quanto molla della narrazione. Come non pensare al celebre Zazie nel metro di Raymond Queneau, uscito nel 1959? Bartezzaghi, in fede alla passione per la sperimentazione linguistica di uno dei fondatori dell’Oulipo francese, non evita di accennarvi nel suo errare per linee del metro milanese. Il gioco con le parole è una prerogativa del suo lavoro, tant’è che lo porta con sé anche in metropolitana in giro per Milano. Per esempio: chi aveva mai riflettuto sul fatto che modernità è l’anagramma di metro and I?
Una brulicante rilettura di Milano
Questo libro non è solo un gioco sotterraneo, ma una sorta di piccola guida personale alla città di Milano. Ogni tanto il narratore sbuca da una fermata, oppure lo si sorprende a passeggio mentre riflette su Milano, sulla sua stranezza e bellezza. La città è piena di fascino per chi parla, ogni volta mosso da affetto, guidato dall’ironia, oppure da una rassegnata abitudine da cogliere mentre prende appunti, compone giochi enigmistici, pensa.
Ci sono osservazioni disincantate e critiche su ciò che in città non funziona, ambiguità e stranezze topografiche, scelte dei nomi delle piazze, atteggiamenti dei milanesi. Passano i nomi dei quartieri: Bovisa, Bovisasca, Niguarda, Cenisio, Isola. Ma soprattutto passano le fermate della metro. Su Porta Garibaldi, per esempio, Bartezzaghi costruisce un delizioso gioco che coinvolge la stazione ferroviaria di Porta Garibaldi, che però non è esattamente a Porta Garibaldi, così come Porta Genova non è a Porta Genova. Rischioso darsi appuntamento in queste zone: la fermata della metro è sì Porta Genova, ma corrisponde alla stazione dei treni, Porta Genova FS. E vedersi a Garibaldi cosa sottintende: il corso, la metro, la porta o la stazione?
Altro divertissement, Gioia: «la fermata della metro verde fra Centrale e Garibaldi non è affatto un inno alla gioia» scrive l’autore. È infatti una di quelle vie che è obbligatorio menzionare con nome e cognome: via Melchiorre Gioia, economista e politico, da non confondere con il sentimento della gioia. Un analogo giochino accade a Largo La Foppa, ma, dice il narratore, non è mai esistito un signor «La Foppa». La parola sta per buca, avvallamento del terreno poi ricoperto, e la statua lì a fianco ritrae l’ingegner Piatti, un «cognome livellare» per colui che ideò la galleria del Frejus. Tra una risemantizzazione e l’altra, inevitabile citare anche Piazza Cadorna con la sua grande scultura ad ago gigante, che cuce le linee rossa, verde e gialla della metro nel sottosuolo di Milano.
Dal Duomo ai Navigli: Milano in una mappa
Luogo simbolo di Milano, piazza del Duomo diventa nel libro di Bartezzaghi la sua fermata della metro: Duomo. Naturalmente, anche questa tutta da esplorare:
sotto il cielo di Milano, da piazza del Duomo si può andare a piazza Cordusio in tanti modi. A piedi, le due piazze sono vicinissime e collegate da più vie e passaggi; ma ci si può andare persino in tram, in bicicletta; in motorino, pure in auto, facendo astrazione dal problema del parcheggio. Devo dire anche lo skateboard? Lo dico. Anche sotto la terra di Milano c’è però un’opzione: dalla fermata Duomo alla fermata Cordusio si può prendere un treno della metropolitana, linea rossa, o si può camminare a piedi, e senza pagare biglietto. L’enorme fermata Duomo infatti ha anche la propaggine di una galleria pedonale tramite cui si arriva alla stazione successiva. Il collegamento si chiama Galleria dell’Artigianato. Una volta le sue vetrine erano occupate da un vasto rettilario. Nessuno mi ha mai raccontano di averlo visitato.
Se la mappa della metro è un insieme di rette e spigoli, va notato però che la mappa della città di Milano ha qualcosa di labirintico, e si sviluppa un po’ a chiocciola, per cerchie. Sono i residui delle vecchie mura, che interrompevano la città a scopo difensivo segnando un dentro e un fuori e che oggi restano come forme da intuire nella geometria della mappa. Una sorta di guscio di lumaca, lo definisce così l’autore, una specie di labirinto in cui muoversi scoprendo bellezze nascoste, rintracciando curiosità e piccole anomalie divertenti. Proprio come suggerisce, pagina dopo pagina, M. Una metronovela, che porta a spasso per una Milano inedita con la lentezza di una passeggiata, solleticando una strana e insolita voglia di esplorare la città girando in metropolitana, per scoprirla ogni giorno un po’ di più, e da nuovi punti di osservazione.