“Tra la città di Praga e Kafka esiste un legame assai particolare, sia perché gran parte delle sue opere nascono lì, sia perché la città stessa è una specie di libro in cui personaggi, edifici, situazioni vere o soltanto intuite hanno trovato il luogo dove realizzarsi.”
A Praga con Kafka, Giuseppe Lupo
Quanta Praga si è riversata nelle pagine kafkiane e qual è stato il rapporto dello scrittore con la capitale boema e la cultura del suo tempo? A queste domande cerca di dare risposta Giuseppe Lupo nel suo A Praga con Kafka. Le vie, le case, i ricordi (2020), pubblicato da Giulio Perrone editore nella collana “Passaggi di dogana“.
Kafka si annida tra i chiaroscuri di una città multanime, dove tre identità – ebrea, tedesca e ceca – si avvilluppano in una matassa culturale inestricabile. Siamo agli albori del Novecento: mentre crollano le certezze e lo slancio ottimistico che aveva caratterizzato la Belle Époque, Kafka proietta nella città presente una condizione umana di angoscia e inquietudine e al tempo stesso coglie con spiccato acume le crepe di una situazione storica che prelude all’imminente avanzata nazista.
Il rapporto controverso tra Kafka e la città è analizzato attraverso la sua topografia esistenziale, intessuta qua e là di riferimenti all’opera letteraria. Si rintracciano così i luoghi della vita dello scrittore, presentati non in ordine cronologico, ma funzionale al discorso. Viene descritta la girandola di traslochi della famiglia Kafka, alimentata dell’ansia di riscatto sociale del padre Hermann, piccolo mercante figlio di macellai che arriverà ad aprire un negozio nel prestigiosissimo Palazzo Kinsky, nel cuore della città, conquistando finalmente quel rispettabile status sociale tanto bramato.
Un carosello di luoghi e volti
Giuseppe Lupo ci accompagna nelle case in cui lo scrittore è vissuto, che scopriamo concentrarsi per la maggior parte nella Staré Město, la Città Vecchia: da casa Minutta a casa Ai Tre Re, e poi numerose altre, tra cui Alla Nave e Casa Oppelt, fino al quartiere proletario di Žižkov dove lo scrittore andò finalmente a vivere da solo. Alcuni edifici in cui abitò non esistono più, così come è scomparso l’antico ghetto che proprio durante l’infanzia di Kafka veniva demolito e risanato.
Ci immaginiamo Kafka nelle sue stanze, come quella affacciata sulla Moldava, oppure chino sulla scrivania nell’ufficio di Na Poříčí 7, un tempo sede dell’Istituto di Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro dove era impiegato. Lo ritroviamo nei caffè dell’epoca, come il Savoy e l’Arco, dove si accendevano animati dibattiti culturali e dove si avvicinò al teatro yiddish di Jizchak Löwy, grazie al quale riscoprì quell’anima ebraica da cui si sentiva tanto attratto.
Kafka era un assiduo passeggiatore notturno: nel silenzio delle strade e dei parchi deserti, passo dopo passo, fluivano le riflessioni che poi trascriveva una volta a casa, senza bisogno di troppi appunti; tavolta si rifugiava nel silenzioso Vicolo d’Oro, ancora lontano dall’essere un’affollata meta turistica, dove aveva preso in affitto uno studiolo per mettersi a scrivere dopo una giornata di intenso lavoro burocratico, per poi rincasare nel suo appartamento di Palazzo Schönborn. Qui la notte tra 12 e 13 agosto 1917 si manifestano i primi sintomi della tubercolosi e in un attimo si frantumano tutti i suoi progetti per il futuro.
Ma non di soli luoghi è fatta la Praga di Kafka. Nel libro sfila anche un carosello di volti legati a vario titolo allo scrittore, tra cui il padre Hermann, le sorelle Ottla e Valli, l’amico Max Brod, la giornalista Milena Jesenská e la fidanzata Felice Bauer. E infine Gustav Janouch, a cui sono dedicati gli ultimi capitoli: aspirante poeta, poi diventato compositore di musica leggera, è l’autore di Conversazioni con Kafka, un testo autobiografico in cui parla dell’amicizia con lo scrittore di cui delinea un ritratto intimo, anche se la veridicità di alcuni fatti narrati ha suscitato più di una perplessità.
Per quel che concerne le opere letterarie, ci dice Giuseppe Lupo, difficilmente le loro esatte topografie sono accertabili. La surreale Descrizione di una battaglia è una delle opere in cui sono più chiari i riferimenti geografici (come Ponte Carlo e la Moldava) ma anche nelle altre opere, seppur più sfumati, si possono intravedere i caliginosi luoghi della Praga reale, come la cattedrale di San Vito che si nasconde dietro all’anonimo Duomo del Processo.
Interessante infine il tentativo di Lupo di definire alcune coordinate caratteriali e biografiche dello scrittore attraverso le sculture a lui dedicate, come quelle di Jaroslav Róna e David Černý, summe esistenziali kafkiane oggetto di svariate interpretazioni.
Questo libro è uno di quei casi in cui si rimpiange l’assenza di fotografie. Peccato però, perché moltiplicherebbe l’efficacia della ricostruzione e aiuterebbe a visualizzare gli scampoli di quella Praga primo novecentesca che si è ormai dissolta. Un apparato iconografico che è presente invece nel libro Franz Kafka. Immagini della sua vita di Klaus Wagenbach (uscito in Italia per i tipi di Adephi, ora fuori catalogo), testo menzionato qua e là assieme a un’altra opera fondamentale per conoscere la storia culturale della città, il celebre saggio-romanzo Praga magica di Angelo Maria Ripellino.
In definitiva, A Praga con Kafka è una lettura scorrevole, colta ma non autoreferenziale, densa di informazioni ma non dispersiva; forse uno dei “Passaggi di dogana” meglio riusciti.