Morten A. Strøksnes è un giornalista e fotografo spesso impegnato in reportage letterari e saggistica narrativa. Due generi un po’ fuori dalle righe, dove si mescolano piacere della scrittura, storie e conoscenze di vario tipo sui luoghi, toni romanzeschi e notazioni da articolo divulgativo. Il libro del mare (Iperborea, 2017) non è un’eccezione, e declina subito il suo titolo introducendoci per una via privilegiata dentro alla storia: O come andare a pesca di uno squalo gigante con un piccolo gommone in un vasto mare.
Perché per quanto infatti questo testo racconti il nord della Norvegia e il suo ricchissimo e misterioso mare, tra le pagine ci si appassiona anche a una storia, quella che coinvolge l’autore e il suo amico Hugo, un po’ pescatore e un po’ artista, decisi a tirare fuori dal vasto mare un esemplare di squalo della Groenlandia. Animale misterioso e ancestrale, che può arrivare fino a sette metri di lunghezza e milleduecento chili, questo squalo è probabilmente il vertebrato più longevo del pianeta con i suoi svariati secoli di età e ha trovato un habitat perfetto nei freddi mari delle isole Lofoten, a nord della Norvegia e ancora più a nord, fino quasi al Circolo Polare Artico.
La caccia allo squalo diventa presto una scusa per uscire in mare, a scoprire e riscoprire la deflagrante bellezza di una natura maestosa e misteriosa, e i paesaggi di una Norvegia costiera e ittica fatta di colori indefinibili e lunghe giornate estive in cui il sole non tramonta mai, e si resta abbagliati dallo spettacolo inquietante e antico delle nere montagne il cui profilo sprofonda sotto la superficie dell’acqua. È la storia del fascino del mare, e di un’amicizia bizzarra e tenace, fatta di sottile ironia e complicità silenziosa. Perché mai come quando si esce a pesca dello squalo della Groenlandia i silenzi possono diventare importanti, utili per esempio a cogliere il potente rumore del respiro di un cetaceo salito in superficie per respirare.
Verso il Nord della Norvegia, nel Vestfjorden
Sotto di me sfilavano montagne, boschi e altipiani all’infinito, finché, arrivati a Helgeland, la terra si è aperta in fiordi e in un mare ondulato che si estendeva a ovest fino a dove la linea tra cielo e acqua si perdeva all’orizzonte, in un grigio lucente che pareva fatto di piume di uccelli. Ogni volta che lascio Oslo e vado a nord ho la sensazione di liberarmi: dall’entroterra, dai formicai, da abeti, da fiumi, dalle acque dolci e dal gorgoglio delle paludi. Via, verso il mare, libero e infinito, ritmico e cullante, come i vecchi canti dell’epoca dei velieri, che risuonavano attraverso gli oceani fino a raggiungere i grandi porti del mondo.
Quella di Morten A. Strøksnes e di Hugo è una storia vera, ma tra le pagine del libro si arricchisce delle infinite storie che il fascino marinaro di cui è intessuto tutto il libro da sempre suscitano nella fantasia dell’uomo e nelle esperienze di chi va per mare. Certo, questo è un mare diverso da quello che lambisce le lunghe coste italiane, i colori e il calore del Mediterraneo sono sostituiti dal freddo del nord della Norvegia, dalle sue aurore boreali dalle tinte “psichedeliche”, dalla conformazione dei litorali, che si aprono in fiordi dentro i cui canali le acque possono essere subito profondissime. Siamo nel Vestfjorden, all’altezza dell’Islanda, nel mezzo del Mar di Norvegia. Il viaggio dell’autore e di Hugo inizia a Engeløya, l’isola dell’Angelo, già a nord ma sul versante sudorientale del canale di acque profonde rappresentato dal Vestfjorden. In questa zona la Norvegia si scorpora in tante piccole isole sulle quali domina il mare. L’autore vola a nord da Oslo, la capitale, attraversando poi i tratti di mare tra le isole da Bodø, in traghetto, e attraccando a Bogøy.
Dalla casa di Hugo si domina il Vestfjorden, ecco perché i suoi lavori artistici sono influenzati da una luce particolare, che pare essere di un blu possibile solo nei paesaggi marini del Circolo Polare. Il mare è del resto l’assoluto protagonista di quest’avventura nordica, è a partire dalle storie di mare, dalle leggende e da una personale affinità con la pesca e l’ambiente ittico che entrambi i protagonisti decidono di mettersi in caccia.
Il Vestfjorden è caratterizzato da fondali profondi e da un’incredibile biodiversità. Sotto le sue acque brulicano specie tra cui la maggior parte probabilmente ancora non conosciute né classificate dai biologi. Il luogo è estremo, custodisce una natura antica e una vita sottomarina affascinante, popolata da testimoni misteriosi delle origini dello stesso pianeta. Tra loro, lo squalo della Groenlandia, pescato anche dagli inuit, la popolazione artica che si sposta in kayak per la caccia. Uno squalo che non interessa a nessuno, perché la sua carne è tossica, ma sul quale abbondano racconti.
Skrova, isola di pescatori e artisti
La caccia dei due parte dall’altra parte del Vestfjorden, a ovest, dalle isole Lofoten. In particolare da Skrova, famoso centro ittico a capo di un gruppo di isole, dotata di un bacino portuale naturale, rifugio sicuro per i tantissimi pescatori che vi lavoravano, e anche per i cacciatori di balene. Il tratto di mare davanti a Skrova, con le sue grandi profondità, è infatti abitato, tra le tante creature, anche dai grandi mammiferi marini, i cetacei. Emozionante è la scena in cui protagonista e amico, in barca, si imbattono in un capodoglio emerso a galla per respirare, e altrettanto potenti sono le immagini di loro due in mare circondati da una danza di orche.
Oggi le stazioni ittiche di Skrova sono quasi tutte chiuse, l’isola è abitata da poche centinaia di persone, ma Hugo e la moglie hanno deciso di trasferirsi lì e ristrutturare un vecchio centro per la lavorazione del pesce e l’estrazione di olio di fegato di merluzzo. Stazione Aasjord, si chiama così, è costruita su palafitte, il mare sui tre lati, il pontile di attracco subito davanti e l’abbraccio del sole da maggio a settembre. Il loro progetto è di sistemare il locale, renderlo abitabile e trasformarlo in un centro di ritiro per artisti.
Strøksnes soggiornerà nella stazione durante le varie stagioni di caccia allo squalo, in un luogo che ancora una volta contribuisce alla creazione del fascino marinaro, con i suoi antichi utensili per la lavorazione del pesce e con parole tipiche del gergo marinaresco del nord della Norvegia che riecheggiano nella parlata di alcuni vecchi pescatori. Høgginga, termine che indica il momento in cui le correnti cominciano a calare, tre giorni dopo il plenilunio o il novilunio, oppure sktinga, quando cioè le correnti aumentano dopo lo småsjøtt, la differenza minima tra la maree. Sono tutte condizioni in cui la pesca è buona, e da Skrova, isole Lofoten, ci si prepara per uscire in mare.
A caccia di merluzzo alle Lofoten
Ci troviamo su una distesa di sole di intensità abbagliante e di mare che riluce come uno specchio. Transtilla, la chiamano alle Lofoten, mare d’olio – di fegato di merluzzo – quelle rare volte che c’è una tale calma. Proprio davanti a noi ci sono cinquecento metri di profondità. Non abbiamo idea di quel che succede sotto quella membrana biancastra
C’è un’antica leggenda che racconta che alcuni marinai veneziani salvati nel Mare di Norvegia vennero proprio lì a conoscenza delle carni essiccate dei merluzzi. Avevano scoperto la patria dello stoccafisso, pietanza che ancora oggi caratterizza molte località italiane, in Veneto e in Liguria per esempio, ed è conosciuta nella sua variante di baccalà. Nei mari delle Lofoten si va a riprodurre il ceppo di merluzzi più ricco al mondo, ed ecco perché questi luoghi sono così intensamente legati alla sua lavorazione.
Capitale delle isole è Svolvær, e tanti sono i villaggi caratteristici, come i porti di pesca di Henningsvær e Stamsund. Patria di marinai dagli echi leggendari, le Lofoten si affacciano su un tratto di mare detto “piscina delle Lofoten”, tragicamente conosciuto anche come grande cimitero di barche, pieno di secche e scogli. Vi si formano inoltre grandi onde in seguito a ingenti spostamenti di acqua dovuti alle maree e al fenomeno dello storsjøtt quando, dopo i giorni di luna piena o nuova, l’acqua è spinta nello Tysfjorden a est, lungo e stretto, e ne esce fuori scontrandosi violentemente con le correnti del Vestfjorden. Sulla punta sud occidentale dell’arcipelago, c’è poi il famigerato Moskstraumen, un gorgo temuto dai marinai per secoli, descritto anche da Jules Verne e Edgar Allan Poe e conosciuto come l’ombelico del mare o il pozzo del mondo. Una sorta di burrone dove il mare viene risucchiato, per ricomparire chissà dove.
Il paesaggio è incontaminato e in balia di una natura sontuosa: in mezzo alla magia del mare delle isole si erge infatti il Lofotveggen, il Muro delle Lofoten, una catena di montagne nere, piantate lì nel mare dai primordi della storia geologica terrestre.
In un vasto mare
Intorno a noi c’è silenzio, a parte uno sciabordio morbido e musicale. L’acqua lambisce l’altra faccia del riflesso del cielo sulla pellicola esterna, su avvallamenti e alte secche. Il mare luccica, una lastra uniforme così splendente che pare brillare di luce propria. Verso ovest si gonfia in un arco convesso, come in una ciotola troppo colma. Vediamo la curvatura della terra.
Pescatori, vecchi stabilimenti ittici colorati, profili di montagne ma soprattutto mare, un elemento imprescindibile, fonte di vita per chi lo abita e chi di quella vita fa economia (petroliere, che pure abbondano intorno, escluse) da tempo immemore. Navigando sul gommone di Hugo, l’autore inciampa spesso in meditazioni e riflessioni sul mare. Che siano sguardi meravigliati per la potenza della natura, il suo assoluto incanto percepibile con occhiate ai colori, ai suoi incredibili abitanti, ai fenomeni strani eppure belli che cambiano l’atmosfera, venti, neve, correnti.
Con citazioni da libri di scoperte geografiche, mitologie norrene, esplorazioni antiche e per questo ancora più affascinanti, profumate di velieri e spirito piratesco à la Stevenson, questo reportage narrato ha il pregio di raccontare, dal punto di vista remoto e privilegiato delle Lofoten, la storia intera del pianeta, della vita che vi si è creata, e di quanto sia meraviglioso e al contempo fragile un ecosistema marino oggi minacciato dall’inquinamento, ancora in larga parte sconosciuto eppure infinitamente prezioso per tutti noi.