…Stood and call’d
His Legions, Angel from, who lay intras’t
Thick as Autumnal Leaves that strow the Brooks
in Vallombrosa, where th’Etrurian shades
High overarch’timbow’r…
[…] Alfin la spiaggia di quel mar di foco / L’Arcangelo afferrata, i suoi sconvolti / Battaglioni appellò; deformi e guaste / Angeliche sostanze. E qual d’autunno / Galleggiano affollate in Vallombrosa / Sul cristallo dei rivoli le foglie, / Ove in arco salenti ameni intrecci / Fan l’etrusche boscaglie; […]
Il paradiso perduto, Libro I 299-304
Da questi pochi ma evocativi versi del poeta inglese John Milton (1608-1674) ha inizio la fortuna letteraria di Vallombrosa, la località in provincia di Firenze sulle pendici di Pratomagno che dà il nome alla foresta e all’abbazia omonima.
L’abbazia e il “Paradisino”
L’abbazia di Vallombrosa nacque con la fondazione dell’ordine dei Vallombrosani nel 1038 a opera di Giovanni Gualberto, un nobile fiorentino ritiratosi a vita monastica. Il complesso, immerso in una folta foresta di abeti e faggi, assunse l’aspetto attuale nel Settecento. Poco più in alto si trova l’antico romitorio detto “Paradisino“, oggi centro didattico del Corso di Laurea in Scienze Forestali dell’Università di Firenze: qui in passato alloggiavano tutti i viaggiatori che salivano fino all’abbazia per visitarne il complesso e i secolari boschi circostanti.
La nascita del mito letterario
Ma tornando ai versi di Milton, la sua raffigurazione di Vallombrosa, paragonata al paesaggio dell’Eden, ha esercitato una grande suggestione su tutti quei numerosi visitatori, in particolare inglesi, che a partire dalla metà del Settecento intraprendevano un viaggio di formazione intellettuale in Italia.
Come si legge nella targa affissa sulla parete esterna del Paradisino, tutto ebbe inizio quando Milton visitò Vallombrosa nel 1638. O almeno questo è ciò che si suppone.
In realtà è molto probabile che questa visita non sia mai avvenuta: non ci sono prove a testimoniarlo. Sappiamo però che Milton incontrò Galileo a Firenze nel 1638-39, il quale potrebbe averlo suggestionato descrivendogli questi luoghi in cui aveva frequentato il noviziato.
Inoltre, il poeta inglese conosceva molto bene l’Orlando Furioso, dove, nel XXII canto, Ludovico Ariosto menziona proprio Vallombrosa, anche probabilmente la cita più come suggestione letteraria che come riferimento specifico al monastero fondato da Giovanni Gualberto.1
Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(così fu nominata una badia
ricca e bella, né men religiosa,
e cortese a chiunque vi venìa);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Canto XXII
Sublime Grand Tour
Oltre alla nota citazione miltoniana però, Vallombrosa non avrebbe avuto la stessa fortuna se non fossero occorsi a partire dal XVII secolo altri due fattori: la popolarità del Grand Tour e il fascino esercitato dal concetto di “sublime”.
Il primo era quel viaggio che tutti i giovani aristocratici europei intraprendevano per completare la propria formazione intellettuale e di cui l’Italia, culla della cultura classica e rinascimentale, era la tappa fondamentale.
Il secondo era un sentimento estetico legato al Romanticismo che consisteva nel provare un piacere misto a disorientamento e paura di fronte alla smisurata potenza della natura, dell’infinito e dell’irrazionale, e quindi del panorama selvaggio che Vallombrosa aveva da offrire.
Dal Paradiso perduto alle guide turistiche
Grazie a Milton, Vallombrosa entra così nelle guide turistiche e nei diari di viaggio dei visitatori: numerosi sono gli illustri scrittori che si inerpicano nel fitto della vegetazione, attraverso un percorso tortuoso e disagevole, sulle tracce del Paradiso perduto.
Tra questi i poeti William Wordsworth e Alphonse de Lamartine, autori rispettivamente delle liriche At Vallombrosa e L’Abbaye de Vallombreuse dans les Apenins, e la nota scrittrice Mary Shelley, che già nel suo romanzo Frankenstein aveva dato prova di subire il fascino della natura selvaggia e incontaminata.
Anche i poeti Robert ed Elizabeth Barrett Browning, un po’ per sfuggire alla calura della città, un po’ per ripercorrere i passi di Milton, visitarono l’Abbazia nel 1847 e furono protagonisti di uno spiacevole episodio che costrinse Elizabeth a pernottare fuori dalla badia, con “le bestie immonde” (come scrisse in una lettera), a causa del rigido regolamento che non permetteva alle donne di soggiornare all’interno. Ciò nonostante, l’incanto del paesaggio incontaminato e divino si impresse nella loro memoria, un’emozione che rivive nei versi di Casa Guidi Windows.
E ancora: lo scrittore e critico d’arte John Ruskin non mancò di visitarla durante i suoi viaggi in Italia, il poeta polacco Juliusz Słowacki intraprese un’escursione nell’ottobre 1837, il romanziere americano Henry James la visitò nel 1890 descrivendo estasiato questi luoghi in una lettera al fratello, la scrittrice Edith Wharton si annota le impressioni di una visita primaverile nel suo Italian Backgrounds:
Sui pendii intorno al monastero correva la pennellata rosa purpurea dei crochi con qui e là in macchie sparse, ben distaccate dall’erba come nei primi piani di Mantegna e Botticelli, ma così fitte da formare uno strato di colore senza interruzioni, una marea lilla che sommergeva l’erba e, scorrendo tra le antiche nicchie degli alberi, invadeva anche i recessi più scuri della foresta.
Edith Wharton, Scenari italiani, Torino, Aragno, 2011
Infine, tra i nomi illustri, spunta anche quello di Gabriele D’Annunzio, che soggionò al Grand Hotel di Saltino nel 1908 (dove ebbe alcuni flirt, tra cui quello con miss Dorothy Chapman e la contessa Giusi Mancini).2 Il poeta evoca il luogo suggestivo in versi in un frammento delle Laudi, e ne fa la cornice di una delle sue fughe d’amore:
…ma la Vallombrosa remota
è tutta di violette
divina, apparita in un valco
che tra due colli s’insena
ah sì dolce alla vista
che tepido pare e segreto
come l’inguine della Donna
terrestra qui forse dormente,
onde quest’anelito esala.
Gabriele D’Annunzio, Laudi, Libro primo: Maya – Laus Vitae
Naturalmente non solo gli scrittori subirono il fascino del luogo: questi boschi sono diventati il soggetto di numerose opere pittoriche, tra cui quelle degli artisti francesi François-Xavier Fabre e Louis Gauffier, e chissà che anche nelle malinconiche melodie di Fryderyk Chopin, qui in visita con la scrittrice George Sand, non risuonino gli echi del vento che soffia tra i boschi di Vallombrosa.
Bibliografia
1 Ariosto, Ludovico, Orlando Furioso e cinque canti, vol. 1, Ceserani R., Zatti S. (a cura di), Utet Libreria, Torino 2006; p. 774; su Amazon.
2 Rognetta, Francesca, Reminiscenze di Saltino e Vallombrosa, Polistampa, Firenze, 2008
Titolo: Vallombrosa 1638-1866: tracce di viaggiatori del Grand Tour
Autore: I. Santoni, N. Wittum,
Editore/Anno: Polistampa, 2011.
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