Avete mai fatto un trasloco? L’entusiasmo che si prova nell’entrare in una casa nuova, tutta da arredare. Spazi da rilocare, aperti alle più disparate possibilità. Magari un nuovo stile, un nuovo gusto, in fondo è una nuova vita. Insomma, uno spazio che finalmente vi rappresenti, o che rappresenti un cambiamento auspicato.

Chissà se la stessa effervescenza creativa la provò anche Gabriele D’Annunzio quando nel 1921 ricevette la notizia che il fido “Tom” Antongini aveva trovato la casa perfetta per lui.

Genesi di un’opera d’arte immobiliare

La villa di Cargnacco a Gardone Riviera era stata la dimora del colto e ricco Henry Thode e ne conservava ancora preziosi oggetti, oltre a far sfoggio di terrazze in declivio e una vista incomparabile sul lago di Garda.

Certo, D’Annunzio aveva aspirazioni ben più ambiziose della maggior parte di noi che ci trasferiamo in una casa nuova, e inoltre aveva un debole per le megalomanie. Forse però aveva meno oggetti da traslocare: dalla Capponcina, la villa che aveva avuto sulle colline di Firenze a Settignano, era riuscito a salvare giusto qualche oggetto e circa 2000 libri. Il resto? Tutto pignorato dai creditori. Nonostante i proficui guadagni delle sue opere, a causa dello stile di vita opulento spendeva più di quanto potesse permettersi.

Così, conclusasi l’esperienza di Fiume, nel 1921 D’Annunzio, all’epoca 58enne, acquista quella che era poco più di una villa con vista, e la trasforma in un complesso monumentale. Serviranno però anni di lavori, dal 1921 al 1938, affidati all’architetto Giancarlo Maroni, nominato sovrintendente della “Santa Fabbrica del Vittoriale”. D’Annunzio gli scrisse:

Chiedo a te l’ossatura architettonica, ma mi riserbo l’addobbo… Desidero di inventare i luoghi dove vivo.

Vista dall’alto del Vittoriale degli Italiani come appare oggi

Con quali risorse economiche poteva apportare tutti questi interventi? Un contributo cospicuo arrivava da Benito Mussolini che proprio in quegli anni barbaramente consolidava la sua ascesa al potere, imponendo con violenza la dittatura. Si dice che Mussolini considerasse D’Annunzio come un dente guasto, da cavare o ricoprire d’oro. Scelse la seconda: per renderlo inoffensivo sul piano politico, finanziava le sue stravaganze, lusingava il suo ego… e lo teneva sotto controllo con uomini fidati.

Così, mentre Mussolini marciava su Roma, D’Annunzio era impegnato ad autocelebrarsi e a costruirsi un tempio da tramandare ai posteri. Tuttavia, lo scrittore non era certo un tipo a cui piaceva farsi mettere in ombra.
Così nel 1923, con una mossa astuta, forzosamente rivestita di benevolenza, decide di donare al popolo italiano la sua residenza da poco ribattezzata “Il Vittoriale degli italiani”. Usando un antico aggettivo che evocava la vittoria, praticamente sembrava dire: questo complesso, che sostanzialmente celebra le mie gesta, è anche la commemorazione delle vittorie di tutti gli italiani. Poco pretenzioso, insomma.

Come ho dato all’Italia tutto il mio cuore, oggi offro all’Italia anche questo pezzo di terra e questa casa e tutto quello che di me è raccolto in quest’ultima casa!

Il motto sull’arco di accesso recita imperioso: “Io ho quel che ho donato”, come a dire che più lo Stato gli elargiva, più era cospicua la donazione che poi tornava allo Stato stesso.

Da Villa a Vittoriale

La trasformazione del Vittoriale parte dalla Prioria, l’edificio centrale ed ex villa di Henry Thode, che D’Annunzio stesso ribattezza così conferendogli un tono di dignità e reverenza.

La facciata della Prioria ©turismoletterario.com

All’esterno, fa tempestare la facciata di stemmi, senza ordine simmetrico, ispirandosi al Palazzo Pretorio di Arezzo. All’interno inizia la conversione a santuario, a partire dai motti sibillini: “Clausura fin che s’apra – Silentium fin che parli” si legge sopra la porta d’ingresso, e numerosi altri di cui la casa è praticamente tappezzata.

Una volta dentro, quel “filosofo dell’arredamento” qual si riteneva D’Annunzio, inizia a sbizzarrirsi. Ogni stanza viene ribattezzata con un nome che ne condensa l’essenza e celebra la sua fervida immaginazione. La sua casa doveva diventare una sorta di “opera d’arte totale”, materica trasmutazione del suo io, ma anche un luogo dove trascorrere in tranquillità l’ultimo periodo della sua vita. Quanto più possibile in solitudine, anche per l’inevitabile decadenza fisica che lo spingeva a una vita ritirata.

Alcuni motti sulla porta della Prioria ©Riccardo Iapucci, Wikicommons (CC BY-SA 4.0)

Sono poco più di una dozzina le stanze, tutte cariche di oggetti e contraddistinte dalla stessa atmosfera cupa, quasi opprimenti per la quantità soverchiante di statue, dipinti, maioliche, terrecotte, cimeli di imprese militari, stampe, fotografie e libri, libri ovunque, in ogni anfratto, persino nel bagno. Le pareti completamente tappezzate di ogni sorta di decorazione, con tendaggi pesanti che rendono gli ambienti soffocanti e atri: una soluzione non tanto estetica, ma piuttosto dovuta alla fotofobia di cui soffriva lo scrittore. Anche i più piccoli dettagli si caricano di simbolismo: spuntano numerosi riferimenti alla religione cristiana che evocano sacralità, senza però rinunciare a una sorta di sincretismo che mescola divinità buddhiste e rimandi a ritualità asiatiche.

Di stanza in stanza

A ogni stanza andrebbe dedicato un articolo di approfondimento, per questo per il momento se ne passano in rassegna soltanto alcune, accennandone brevi aspetti.

Nella Stanza del Mascheraio, attendevano conoscenti e seccatori: tra di essi ci fu Mussolini, che si dice fu fatto aspettare per più di due ore su uno scranno scomodissimo.

Tra drappi pesanti per raccogliere i suoni, la Stanza della Musica è dove Luisa Bàccara, una delle sue amanti, una delle poche che viveva con lui al Vittoriale, faceva risuonare le corde del grande pianoforte nella stanza, il famoso Steinway appartenuto a Liszt, lascito del vecchio proprietario assieme ad altri 10000 oggetti e 33000 libri sparsi per la casa.

La Stanza del Mappamondo era stata un tempo la biblioteca del precedente proprietario, così chiamata per il grande mappamondo di carta pergamena; poi la Zambracca, dove d’Annunzio spesso sedeva a scrivere e leggere, e dove fu trovato morto il 1° marzo 1938, reclinato sullo scrittoio.

La Zambracca

Nella Stanza della Leda, così chiamata per la statua che rappresenta il mito di Leda e il cigno, era la camera da letto; qui spiccano stoffe preziose e cineserie, “Tutti quegli oggetti testimoni di amori, piaceri, tristezze avevano acquistato qualcosa della mia sensibilità”, disse lo scrittore.

Poi il Bagno blu, come il colore dei sanitari, circondati da preziose e antiche mattonelle persiane, miriadi di boccette e scatoline.

La Stanza del lebbroso, forse la più angosciante, concepita come luogo di meditazione ma anche simbolo della contemplazione della morte, nella quale troneggia una statua lignea di San Sebastiano.

Poi il Corridoio della Via Crucis, tappezzato con drappi pesanti e affacciato sul cortile, conduce alla Sala delle Reliquie, dove lo scrittore colleziona elementi delle più svariate religioni, anche la “Religione del rischio”, quella a cui si votano gli uomini che osano sfidare i vincoli imposti dalla natura. Per questo al centro, in un tabernacolo, si trova il volante del motoscafo di sir Henry Segrave, morto nel 1930 nel tentativo di superare un record di velocità nel lago Windermere in Inghilterra.

Nell’Oratorio dalmata un’altra reliquia che celebra le grandi imprese: l’elica dell’idrovolante di Francesco De Pinedo con cui volò, in più tappe, dalla Lombardia all’Australia e infine in Giappone. Questa era la sala d’attesa per gli intimi, dove sostavano vegliati da un affresco raffigurante Giobbe e affiancati dagli stalli di un coro cinquecentesco, immersi in una severa religiosità.

Passato lo Scrittoio del Monco, dove D’Annunzio sbrigava la corrispondenza e quando impossibilitato si dichiarava ironicamente monco (c’è una scultura della mano mozza posta sull’architrave della porta), si arriva nell’unica stanza luminosa che rifulge della luce solare, ancora più splendente perché vi si giunge dopo un percorso tra le tenebre offuscato dai pesanti tendaggi. Ma attenzione, la porta di ingresso è molto bassa. È fatta apposta perché entrando si chini il capo in omaggio al genio del padrone di casa.

Siamo nell’Officina, il suo studio, dove tra arredi di legno chiaro e una riproduzione della Nike di Samotracia, in un ordine che cozza con l’ammasso di tutte le altre sale, sono raccolti i libri più cari, gli attrezzi del mestiere: vocabolari, lessici speciali, cataloghi e guide turistiche, come un’antica edizione delle guide rosse Touring Club. Sul tavolo da lavoro ci sono ancora i suoi occhiali e la scultura di un volto, quello di Eleonora Duse, coperto da un velo per evitare turbamenti suscitati dalla sua vista.

L’Officina

Anche se questa potrebbe essere la degna conclusione di un tour della Prioria, il giro termina nella Stanza della Cheli, la sala da pranzo dove però D’Annunzio non mangiava mai: era riservata agli ospiti, ma con un tocco dell’ironia che lo contraddistingueva. Gli ospiti infatti erano invitati a non ingozzarsi troppo ammoniti dalla Cheli, l’ingorda tartaruga morta per indigestione di tuberose la cui una statua, ricavata dal vero carapace dell’animale, si trova al termine del tavolo.

Stanza della Cheli

Da qui si apre lo Schifamondo, la sezione nuova della casa che lo scrittore commissionò alla fine degli anni Venti ma non fece in tempo a terminare. Sarebbe dovuto essere il rifugio di una nuova vita, con ambienti più ampi, in linea con le nuove tendenze del gusto. Oggi ospita il Museo D’Annunzio Eroe con numerosi cimeli militari legati alle sue imprese, come il Volo su Vienna e la Beffa di Buccari, tra medaglie, divise, armi, bandiere e documenti autografi.

Il Museo D’Annunzio Eroe ©Turismoletterario.com

Gli esterni

Tutto intorno c’è il parco e l’hangar dove è custodito il MAS 96, con cui compì la Beffa di Buccari. Sull’edificio spicca il motto “Memento Audere Semper” (“Ricordati di osare sempre”), coniato dallo stesso D’Annunzio.

Edificio del Mas96 ©Turismoletterario.com

Nell’imponente anfiteatro, ultimato nel 1953, quindi dopo la morte del poeta, vi vengono organizzati ancora oggi in estate numerosi spettacoli ed eventi per rendere il luogo vivo.

Il teatro all’aperto con vista sul Lago di Garda ©Federica Pinelli, Wikicommons (CC BY-SA 4.0)

La sommità del parco è sovrastata dal mausoleo con il monumento funebre dello scrittore, una gigantesca arca posta al centro di una piattaforma circolare, dove si trovano anche le tombe in marmo di alcuni suoi fedelissimi.

Il monumento funebre di D’Annunzio ©Turismoletterario

Ma il monumento più suggestivo è forse l’enorme nave militare Puglia, che D’Annunzio ricevette in dono dalla Marina Militare nel 1923, poi trasportata e installata nel giardino. Passeggiando verso la prua della nave si apre, dall’alto, una scenografica vista sul lago di Garda. Sembra quasi di stare per entrare in acqua.

Nave Puglia ©Turismoletterario.com

Tra altri punti di interesse nel complesso si trova anche il Museo D’Annunzio Segreto dove sono esposti tutti gli oggetti che finora non avevano trovato collocazione o erano rimasti chiusi nei cassetti della Prioria: oggetti personali, abbigliamento, gioielli, ceramiche e altre suppellettili.

Jean d’Ormesson, scrittore e giornalista francese, una volta disse: “Non ho una passione per D’Annunzio, […] ma il Vittoriale, francamente, supera ogni immaginazione”. Ed è il motivo per cui – estimatori o meno di D’Annunzio – il Vittoriale merita di essere visitato.

Informazioni pratiche

Sono previste diverse tipologie di biglietto per visitare le varie sezioni del Vittoriale.
La visita alla Prioria si svolge in piccoli gruppi obbligatoriamente accompagnati da guida; non si possono scattare foto all’interno.
Il parco invece si può visitare autonomamente.
Sito
: vittoriale.it