L’impronta dei luoghi legati alla vita di Tomasi di Lampedusa sono più che mai legati ai luoghi in cui viene ambientata la vicenda del Gattopardo. Attraverso questo romanzo, lo scrittore ricostruisce la storia della sua famiglia e rievoca i ricordi dell’infanzia, un passato nostalgico che ormai è svanito per sempre. In una lettera al barone Enrico Merlo di Tagliavia datata 30 maggio 1957, alla quale è allegato il dattiloscritto del Gattopardo, scrive:
“È superfluo dirti che il “principe di Salina” è il principe di Lampedusa, Giulio Fabrizio mio bisnonno; ogni cosa è reale […] Padre Pirrone è anche lui autentico, anche nel nome. […] Tancredi è fisicamente e come maniere, Giò: moralmente una mistura del senatore Scalea e di Pietro, suo figlio. […] Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita.“
Su dichiarazione stessa dello scrittore, quindi, si evince che come modello per Donnafugata è stato assunto il borgo di Palma di Montechiaro, l’antico feudo dei Tomasi, mentre per il palazzo del Principe è stato preso come riferimento il Palazzo Filangeri-Cutò a Santa Margherita di Belice che apparteneva alla famiglia materna e dove Giuseppe aveva trascorso l’infanzia.
Santa Margherita di Belice (Agrigento)
Parco letterario e museo del Gattopardo
Il parco letterario e museo del Gattopardo è incentrato interamente sulla figura e sulle opere di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Espone lettere, foto d’epoca e altri oggetti appartenuti allo scrittore, in particolar modo la copia autentica dell’originale manoscritto e del dattiloscritto de Il Gattopardo, donato dal figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi. Sono presenti postazioni multimediali dedicate al film di Luchino Visconti del 1963 e un piccolo museo delle cere, in cui è ricreata una scena del film viscontiano. Il museo inoltre offre la possibilità di ascoltare una registrazione del 1956 in cui Tomasi di Lampedusa recita il suo racconto Lighea, unico documento audio che ci lascia testimonianza della sua voce.
L’edificio in cui ha sede il museo, Palazzo Filangeri-Cutò, costruito nel XVII secolo ma danneggiato dal terremoto del 1968, apparteneva alla famiglia della madre dello scrittore e qui nell’infanzia Tomasi di Lampedusa era solito trascorrere il periodo estivo. La struttura con i suoi spazi ampi ed eleganti sembra sia stato un modello per il palazzo di Donnafugata presente nelle pagine de Il Gattopardo.
Indirizzo: Palazzo Filangeri Cutò, piazza Matteotti, Santa Margherita di Belice (AG)
Ingresso: a pagamento
Palma di Montechiaro (Agrigento)
La fondazione di Palma di Montechiaro risale al 3 maggio 1637 dopo che il barone Carlo Caro Tomasi ebbe ottenuto la “licentia populandi” dal re Filippo IV di Spagna. In questo modo l’emergente famiglia dei Tomasi di Lampedusa intendeva legittimare la propria posizione all’interno dell’aristocrazia siciliana. Infatti il capostipite, Mario Tomasi era giunto al seguito di Marcantonio Colonna (nominato nel 1577 Viceré di Sicilia da Filippo II di Spagna) che lo aveva fatto capitano d’armi a Licata. Mario aveva qui sposato Francesca Caro, figlia e ricchissima erede di Ferdinando Caro Barone di Montechiaro e Signore di Lampedusa, ottenendo il titolo baronale e dando inizio a un nuovo ramo aristocratico.
Alla morte di Carlo, il titolo fu ereditato dal fratello Giulio al quale fu dato l’appellativo di “Duca Santo” perché si era dedicato alla vita ascetica e all’assistenza ai poveri.
Nella metà del Seicento furono edificati il Monastero delle Benedettine, che inglobò il primo Palazzo ducale e accolse le figlie di Giulio Tomasi, e la Chiesa Madre, la più importante della cittadina ed esempio di barocco siciliano. Il Palazzo ducale, che si erge su una roccia a picco sul mare, fu costruito negli anni 1653-1659 ed è caratterizzato dai soffitti lignei a cassettoni e decorati con gli stemmi dei Tomasi e altre casate correlate.
Il feudo di Montechiaro rimase di proprietà della famiglia Tomasi di Lampedusa fino al 1812 quando divenne comune autonomo.
Giuseppe visitò Palma nell’estate e nell’autunno 1955. Ormai la sua famiglia non aveva più beni immobili ed erano lontani i tempi in cui i Tomasi erano stati i signori di queste terre, ma venivano ancora venerati i santi della famiglia, in particolare il Beato Giuseppe Tomasi che il nonno dello scrittore celebrava tutti gli anni, il 5 gennaio, con una messa privata.
Lo scrittore ebbe un’accoglienza che lo impressionò moltissimo. In questo modo potè riscoprire le origini della sua famiglia e trarne nuova ispirazione per la stesura del suo romanzo dove Palma di Montechiaro viene assunta come modello per la Donnafugata, basti rileggere l’episodio della visita che il principe di Salina fa al monastero benedettino e la descrizione del Te Deum nel Duomo (Chiesa Madre).
Chiesa Madre
Nel romanzo viene citata più volte, in particolare all’arrivo della famiglia Salina a Donnafugata, quando tutti si recano in chiesa, come da tradizione, per assistere al Te Deum:
[…] come voleva un antichissimo uso, gli altri prima di mettere il piede in casa dovevano assistere a un Te Deum alla Chiesa Madre. […] Il duomo era stipato di gente curiosa tra le sue tozze colonne di marmo rosse…
Il duomo, risalente alla seconda metà del Seicento, si trova sulla sommità di una lunga scalinata, anch’essa accennata nel romanzo.
Monastero delle Benedettine
Il monastero di clausura fu edificato negli anni 1653-1659 e inglobò il primo palazzo ducale. Qui si ritirarono in convento le figlie e la moglie di Giulio Tomasi di Lampedusa, tra cui Isabella, nota con il nome di Suor Maria Crocefissa della Concezione, a cui fa riferimento lo scrittore quando parla della Beata Corbèra e il relativo episodio della “lettera del diavolo“, una missiva scritta in caratteri incomprensibili conservata all’interno del convento. Anche i pasticcini che vengono menzionati nelle pagine del Gattopardo, i mandorlati, sono ancora preparati e confezionati nel monastero.
Ecco la descrizione del Convento tratta dal romanzo:
“Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all’arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corbèra, antenata del Principe, che aveva fondato il convento, lo avea dotato, santamente vi era vissuta e santamente vi era morta. […] In quel luogo tutto gli piaceva, cominciando dall’umiltà del parlatorio rozzo, con la sua volta a botte centrata dal Gattopardo, con le duplici grate per le conversazioni, con la piccola ruota di legno per fare entrare e uscire i messaggi, con la porta ben squadrata che il Re e lui, soli maschi nel mondo, potevano lecitamente varcare. Gli piaceva l’aspetto delle suore con la loro larga bavetta di candidissimo lino a piegoline minute, spiccante sulla ruvida tonaca nera; si edificava nel sentir raccontare per la ventesima volta dalla badessa gli ingenui miracoli della Beata, nel vedere com’essa gli additasse l’angolo del giardino malinconico dove la Santa monaca aveva sospeso nell’aria un grosso sasso che il Demonio, innervosito dalla di lei austerità, le aveva scagliato addosso; si stupiva sempre vedendo incorniciate sulla parete di una cella le due lettere famose e indecifrabili, quella che la Beata Corbèra aveva scritto al diavolo per convertirlo al bene e la risposta che esprimeva, pare, per il rammarico di non poter obbedirle; gli piacevano i mandorlati che le monache confezionavano su ricette centenarie, gli piaceva ascoltare l’Uffizio nel coro, ed era financo contento di versare a quella comunità una parte non trascurabile del proprio reddito, così come voleva l’atto di fondazione.”
Indirizzo: piazza Provenzani, Palma di Montechiaro
Ingresso: a pagamento
Capo d’Orlando (Messina)
Villa Piccolo
La villa risale ai primi anni del Novecento ed è stata la residenza di Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò che vi viveva con i tre figli Lucio, Casimiro e Agata Giovanna Piccolo, cugini di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Lo scrittore andava spesso in visita dai cugini, soprattutto grazie all’amicizia con Lucio Piccolo, con il quale condivideva molti interessi tra cui quello della letteratura (Lucio aveva soprannominato Giuseppe “Mostro” per la vasta conoscenza in materia). Inoltre il cugino stava spesso ad ascoltare e dava i consigli quando Giuseppe gli leggeva le pagine appena scritte del romanzo che diventerà poi Il Gattopardo.
Che questi luoghi fossero molto cari allo scrittore lo testimoniano le sue parole: “In questa villa del resto ritrovo non soltanto la «Sacra Famiglia» della mia infanzia, ma una traccia, affievolita, certo, ma indubitabile, della mia fanciullezza a Santa Margherita e perciò mi piace tanto andarvi” (dai Racconti). Inoltre nel Gattopardo ricorrono spesso alcuni riferimenti a questi luoghi e ai paesi circostanti (Naso, Ficarra, …), come l’isola di Salina (feudo del Gattopardo del romanzo e isola che Giuseppe vedeva da Villa Piccolo), il “barone del Biscotto” (Saverio Biscotto, personaggio realmente vissuto nell’Ottocento a Naso), Don Ciccio Tumeo (compagno di caccia del principe del romanzo ispirato a un dipendente dei Piccolo), San Cono (paesino d’origine di Padre Pirrone non molto distante da Capo d’Orlando), etc.
Nel parco, realizzato dalla primogenita Agata Giovanna Piccolo e avvolto in un’atmosfera magica, si trova la cosiddetta “panchina di Lampedusa” dove Giuseppe Tomasi e Lucio Piccolo amavano sedersi durante il periodo estivo come testimonia una foto dell’epoca.
Inoltre, al confine occidentale fra il giardino e la campagna, si trova il “Cimitero dei cani” dove venivano sepolti i cani e i gatti di Casa Piccolo, tra cui Crab, il fedele cane di Giuseppe Tomasi, morto durante uno dei soggiorni dello scrittore a Villa Piccolo.
Villa Piccolo è una Casa Museo visitabile su prenotazione che ospita la Fondazione Piccolo nata nel 1970 su iniziativa del pittore Casimiro Piccolo per tutelare il patrimonio culturale, naturalistico e artistico della sua famiglia.
Indirizzo: SS113, Km 109, Capo d’Orlando (ME)
Ingresso: a pagamento
Ficarra (Messina)
Giuseppe Tomasi di Lampedusa soggiornò a Ficarra dalla fine di luglio all’inizio di ottobre del 1943, durante lo sbarco degli angloamericani e gli scontri con i tedeschi in ritirata: tre mesi che lasciarono una traccia profonda nello scrittore fino ad imprimersi vividamente nelle pagine del suo romanzo, tra cui l’episodio in cui viene ritrovato nel giardino di Villa Salina il cadavere di un soldato borbonico: “Il cadavere di un giovane soldato del 5° Battaglione Cacciatori che, ferito nella zuffa di S. Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone […]”.
Casa dove soggiornò
La casa del campiere Pietro Gullà dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa soggiornò dalla fine di luglio agli inizi dell’ottobre 1943. Un pannello informativo indica l’edificio, rimasto identico come allora.
Indirizzo: via Salita Madre Chiesa 2, Ficarra
Statua commemorativa
La statua ritrae Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il cugino Lucio Piccolo.
Indirizzo: piazza Pier santi Mattarella, Ficarra
Palermo
Palermo è la città natale di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Qui visse gran parte della sua vita e a questa città è legata la storia della sua famiglia. Oltre ai luoghi ancora esistenti legati a questo scrittore, elencati qui di seguito, ve ne sono alcuni che sono scomparsi:
– il Bar Pasticceria Mazzara (chiuso recentemente), dove lo scrittore si era recato ogni mattina per anni, seduto a scrivere al solito tavolino;
– il Caffè Caflisch e la Pasticceria Del Massimo, anch’essi frequentati spesso dallo scrittore, come ci testimonia Francesco Orlando in Ricordo di Lampedusa (1962);
– la casa del critico musicale e giornalista del Giornale di Sicilia Bebbuzzo Sgadari di Lo Monaco in Corso Scinà 109, all’angolo di piazza Edoardo Alfano,(l’edificio dell’epoca non esiste più) dove Tomasi di Lampedusa frequentava le serate d’ascolto e conobbe molti intellettuali palermitani (Francesco Orlando, Francesco Agnello, Antonio Pasqualino e il suo futuro figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi).
Palazzo Lampedusa
In via Lampedusa, alle spalle della prefettura, proprio di fronte palazzo Branciforte, si trova il palazzo dove lo scrittore nacque il 23 dicembre 1896. Ad esso ha sempre provato una forte affezione, come testimoniano le sue parole in Ricordi di infanzia(1955) “Anzitutto la nostra casa. La amavo con abbandono assoluto. E la amo adesso quando essa da dodici anni non è più che un ricordo. Fino a pochi mesi prima della sua distruzione dormivo nella stanza nella quale ero nato, a quattro metri di distanza da dove era stato posto il letto di mia madre durante il travaglio del parto. Ed in quella casa, in quella stessa stanza forse, ero lieto di essere sicuro di morire. Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti che hanno servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola“.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, esattamente il 22 marzo 1943, una nave nel porto fu colpita da una bomba e i frammenti dell’esplosione ricaddero sulla villa dei Lampedusa, scoperchiandone la libreria. Pochi giorni dopo, il 5 aprile, il palazzo venne colpito direttamente e, a causa degli ingenti danni, divenne completamente inagibile tanto che lo scrittore, con la moglie e la madre, furono costretti a trasferirsi in una casa a Ficarra fino alla data dell’armistizio. Successivamente la madre tornò in alcune stanze di Palazzo Lampedusa che erano rimaste in piedi mentre lo scrittore e la moglie andarono ad abitare in via Butera (con una parentesi in piazza Castelnuovo dal 1943 al 1945, in una camera in affitto) ma riuscirono a salvare e traslocare soltanto una minima parte degli oggetti e gli arredi di Palazzo Lampedusa.
Nel Gattopardo lo scrittore rievocherà spesso i fasti del tempo andato, descrivendo particolari e atmosfere dell’amata casa che serbava nei suoi ricordi.
Per molti anni l’edificio non è rimasto che un rudere. Nel 2014 è stato restaurato su iniziativa privata effettuando alcune ricerche fotografiche per renderlo più vicino possibile all’originale ed è stato poi frazionato in appartamenti ad uso residenziale.
Indirizzo: via Lampedusa 17, Palermo
Palazzo Lanza Tomasi
Il Palazzo Lanza Tomasi (un tempo Palazzo Lampedusa alla Marina), edificato nel XVI sec. dai Branciforte, fu acquistato dal Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, nonno dello scrittore e modello per il protagonista del Gattopardo, con l’indennizzo ottenuto dalla Corona per l’esproprio dell’isola di Lampedusa.
Giuseppe riacquistò il palazzo appartenuto alla sua famiglia ora di proprietà dei De Pace, il cui ingresso si trova al numero 28, nel quale si trasferì definitivamente nel 1951. Vi vivrà fino alla morte, avvenuta nel 1957, ma non lo considererà mai la sua vera casa, come scrive in Ricordi d’infanzia:
“Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti che hanno servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle CASE nel senso arcaico e venerabile della parola. Ed in ispecie quella che ho adesso, che non mi piace affatto, che ho comperato per far piacere a mia Moglie e che sono stato lieto di far intestare a lei, perché veramente essa non è la mia casa. “
Il palazzo, attualmente abitato dai discendenti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si trova nel quartiere Kalsa e conserva ancora intatta la biblioteca dello scrittore.
Indirizzo: via Butera 28, Palermo
Tomba nel Cimitero dei Cappuccini
La tomba dello scrittore si trova assieme a quella della moglie nella sezione XXV nel Cimitero dei Cappuccini. L’epigrafe recita: “Giuseppe Tomasi / Principe di Lampedusa / Morto a Roma il 26 luglio 1957 — Alessandra Wolff Stommersee / Principessa di Lampedusa / Morta a Palermo il 22 giugno 1982”.
Indirizzo: Cimitero dei Cappuccini, via dei Cappuccini 1, Palermo
Bagheria (Palermo)
Palazzo Cutò o Palazzo Aragona Cutò
Palazzo Cutò fu fatto costruire dal principe di Aragona, Luigi Onofrio Naselli, tra il 1712 e il 1716 come residenza estiva. Nel 1803 passò nelle mani del principe Alessandro Filangeri di Cutò, bisnonno dello scrittore, che morì nel 1854 lasciando una sola erede, la figlia Giovanna di 4 anni, la quale crebbe a Parigi e sposò Lucio Tasca di Almerita. Da questa unione nacque Beatrice, futura madre di Giuseppe. Il palazzo fu venduto dallo stesso scrittore nel 1923. Nel 1987 è stato acquistato dal Comune e oggi è sede della Biblioteca comunale e del Museo del Giocattolo.
Secondo la testimonianza del figlio adottivo, Gioacchino Lanza Tomasi, nel saggio I luoghi del Gattopardo (Palermo, Sellerio, 2001, p. 19) lo scrittore talvolta ricordava questo palazzo ma non aveva una memoria così dettagliata come per le cose con le quali aveva avuto una più lunga convivenza.
Indirizzo: Via Consolare 105, Bagheria (Palermo)